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Stakeholder interni ed esterni: cosa cambia davvero?

  • Alberto Lazizzera
  • 18 ago
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 5 giorni fa


Nel quadro della crescente centralità della sostenibilità nella strategia d’impresa, l’engagement degli stakeholder si configura non più come una pratica accessoria, ma come un driver di materialità e legittimazione. In un contesto normativo in evoluzione (si pensi alla Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD) e con una pressione reputazionale sempre più marcata, il dialogo strutturato e differenziato con stakeholder interni ed esterni diventa una leva imprescindibile per l'efficacia e la resilienza dei piani ESG.


Tuttavia, nonostante l’ampio ricorso al concetto di stakeholder engagement nei report e nei piani strategici, permane una certa ambiguità su cosa effettivamente distingua, in termini di ruolo, impatto e modalità d’ingaggio, gli attori interni rispetto a quelli esterni.


Stakeholder interni vs esterni: anatomia e ruoli strategici


Nel perimetro interno rientrano tutti gli attori formalmente inseriti nella struttura organizzativa: dipendenti, manager, leadership esecutiva, consiglio di amministrazione e in taluni casi gli azionisti che partecipano attivamente alle decisioni di governance.


Questi stakeholder:


  • incorporano le istanze ESG nei processi decisionali quotidiani;

  • sono agenti diretti nella traduzione della strategia in operatività;

  • influenzano profondamente la cultura organizzativa, spesso condizionando l’effettiva capacità trasformativa del piano ESG.


La loro centralità non risiede solo nell’esecuzione, ma nella capacità di ri-orientare i modelli interni verso una logica integrata tra performance economica e impatto sociale e ambientale. In assenza di questo allineamento culturale, anche le policy ESG più raffinate rischiano di restare disancorate dal contesto operativo.


Al di fuori dei confini organizzativi, si collocano stakeholder quali:


  • clienti e consumatori finali;

  • fornitori e partner di filiera;

  • investitori (tradizionali e sostenibili);

  • comunità locali, ONG, media, enti regolatori e policy-maker.


Questi soggetti esercitano pressioni sistemiche e impongono standard evolutivi che spesso fungono da catalizzatori di trasformazione strategica. In particolare, gli stakeholder esterni:


  • definiscono aspettative reputazionali e operative;

  • condizionano l’accesso a risorse finanziarie o mercati;

  • espongono l’organizzazione a monitoraggio esterno e benchmarking di settore.


In tal senso, essi rappresentano una fonte di rischio e opportunità, capaci di rafforzare o minare la legittimità aziendale nel lungo periodo.


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Engagement strategico: perché (e come) differenziare l'approccio interno ed esterno


Un’efficace strategia ESG richiede una integrazione verticale della sostenibilità nelle logiche manageriali.

Per i portatori di interesse interni, il coinvolgimento non può limitarsi all’informazione o alla sensibilizzazione, ma deve includere:


  • sistemi di incentivi ESG-oriented: integrare metriche di sostenibilità nei sistemi di performance e valutazione.

  • crescita condivisa: investire in formazione continua sui principi ESG e sul proprio ruolo nel processo di transizione.

  • leadership autentica: i vertici aziendali devono esplicitamente modellare e premiare i comportamenti virtuosi, fungendo da moltiplicatori culturali.

  • meccanismi di partecipazione attiva: creare comitati ESG interfunzionali, tavoli tematici cross silos, piattaforme digitali di co-progettazione.


L’engagement interno diventa così un fattore di resilienza organizzativa, in grado di garantire coerenza tra purpose dichiarato e prassi quotidiana.


Nel caso degli stakeholder esterni, l’obiettivo primario dell’engagement è invece quello di garantire accountability, trasparenza e adattività.


Le best practice nel settore prevedono:


  • materiality assessment co-partecipati, che includano stakeholder diversi per definire le priorità ESG realmente rilevanti.

  • consultazioni pubbliche, focus group e stakeholder forum, finalizzati alla raccolta di input qualificati.

  • collaborazioni strutturate con fornitori per sviluppare soluzioni condivise (es. economia circolare, decarbonizzazione).

  • strumenti e canali digitali feedback attivo per raccogliere segnalazioni, suggerimenti e risolvere criticità costruendo fiducia.


In questo contesto, emerge chiaramente come lo stakeholder esterno non sia un semplice destinatario, ma un co-autore della strategia di sostenibilità, il cui coinvolgimento consente di anticipare trend e rischi emergenti.


Dinamiche d’impatto sulla strategia ESG: sinergie, tensioni e modelli di allineamento


Quando il coinvolgimento delle persone è reale ed efficace, l’azienda passa da un modello di compliance ESG a un vero impegno nel generare cambiamento.

In questo processo infatti, gli stakeholder interni:


  • identificano colli di bottiglia operativi e propongono soluzioni;

  • attivano iniziative spontanee;

  • facilitano un cambiamento culturale a partire dal basso, generando ownership diffusa.


Un cambio di prospettiva, rispetto ad una situazione di engagement superficiale, in cui emergono segnali di disillusione o adesione solo formale ai temi ESG.


Gli stakeholder esterni tendono a generare pressioni selettive, in grado di rimodellare la strategia ESG anche in assenza di volontà interna.

Ne sono esempi:


  • investitori che condizionano il capitale a rating ESG positivi;

  • clienti istituzionali che richiedono filiere certificate;

  • legislatori che impongono rendicontazione e due diligence.


Questa pressione esterna può essere leva di evoluzione, ma anche generare resistenza organizzativa se non accompagnata da una narrativa interna convincente. Questo aspetto è cruciale tanto quanto l’ingaggio vero e proprio.

Oltre il dialogo, verso una governance diffusa


Nel contesto attuale, caratterizzato da crescenti rischi ambientali, diseguaglianze sociali e pressione regolatoria, la capacità di un’impresa di gestire in modo proattivo stakeholder interni ed esterni costituisce un fattore distintivo di successo.


Le organizzazioni più avanzate riescono a orchestrare il doppio asse del coinvolgimento stakeholder. Stimoli esterni e dinamiche interne si alimentano reciprocamente, dando vita a una governance ESG ibrida, caratterizzata da:


  • coerenza strategica tra comunicazione esterna e prassi interna;

  • elevata accountability cross silos;

  • capacità di adattamento sistemico alle crisi e ai cambiamenti normativi.


La vera sfida oggi non è solo comunicare bene, ma costruire un’infrastruttura relazionale solida e credibile. Un sistema capace di sostenere trasformazioni complesse e garantire coerenza tra impatto, governance e performance.


L’engagement stakeholder, se progettato con rigore, visione e intenzionalità, diventa un potente strumento di innovazione, apprendimento organizzativo e pianificazione strategica.





? FAQ – Stakeholder ESG


1. Come distinguere stakeholder interni ed esterni in una mappatura ESG?

Gli stakeholder interni fanno parte della struttura aziendale; quelli esterni la influenzano o ne subiscono gli effetti.

2. Quali strumenti usare per attivare l’ingaggio interno?

KPI ESG nei piani performance individuali, formazione continua, comitati trasversali, piattaforme come Operia per la gestione condivisa di progetti e impatti.

3. Come gestire con struttura e organizzazione i feedback esterni?

Tramite stakeholder forum, consultazioni periodiche, partnership operative e integrazione di questi nei processi decisionali aziendali.

4. Come mappare gli stakeholder rispetto alle esigenze interne?

Be-boost ha sviluppato uno strumento guida gratuito - Stakeholder Map Canvas - per consentire alle funzioni ESG di identificare gli attori principali per l'azienda e i punti di contatto.

5. Quando aggiornare la mappatura degli stakeholder?

Dopo ogni cambiamento rilevante (es. nuovi progetti, partnership, normative), o almeno una volta all’anno per garantire allineamento strategico e rilevanza delle priorità ESG.


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