Quanto costa non misurare? Il peso di dati ESG inaffidabili
- Alberto Lazizzera
- 27 nov
- Tempo di lettura: 5 min
Quando la sostenibilità diventa una leva per tutta l’organizzazione?
Il primo passo non è comunicare, ma decidere dove si vuole arrivare e come misurarlo.
Stabilire metriche, KPI e margini di miglioramento non è un esercizio formale: è ciò che permette di trasformare la sostenibilità da principio astratto a leva di gestione. Senza questa base, ogni iniziativa resta isolata, difficile da valutare e impossibile da scalare.
Molte aziende trattano ancora la sostenibilità come un tema parallelo, un “capitolo” separato del business. Ma il vero impatto dei dati ESG attraversa l’intera impresa: influenza il costo del capitale, la capacità di competere nei bandi e nei mercati e la credibilità con investitori e clienti.
Non misurare o misurare male, significa non governare. E in un contesto dove il mercato premia trasparenza e verificabilità, l’assenza di dati solidi non è più un limite tecnico: è un vantaggio competitivo ceduto agli altri.
La domanda allora cambia: non se conviene misurare, ma quanto costa non farlo.
Il costo concreto dei dati inaffidabili (tempi, decisioni, reputazione)
La mancata misurazione, o una misurazione basata su dati ESG inaffidabili, non genera solo ritardi o confusione: mina la capacità dell’azienda di governare sé stessa.
1. Impatto economico e gestionale
Dati frammentati o non verificabili rendono i processi decisionali più lenti, alimentano rilavorazioni e costringono i team a giustificare, invece di migliorare.
Ogni informazione incerta genera un effetto domino: ritardi nei piani di investimento, aumento dei costi di controllo, perdita di credibilità nei confronti di banche e investitori.
Nel tempo, questo si traduce in rischio maggiore, in condizioni di finanziamento meno favorevoli e in un costo del capitale più alto.
L’assenza di dati solidi diventa quindi un freno competitivo.
Quando i competitor riescono a dimostrare progressi concreti, con evidenze tracciabili, diventano partner preferiti nei bandi, più appetibili per gli investitori e più affidabili nei mercati.
2. Effetti sulla reputazione e sulla fiducia
La fiducia oggi si misura in trasparenza.
Clienti, investitori e collaboratori vogliono capire non solo cosa dichiari, ma come lo dimostri. Se i dati ESG non sono coerenti, verificabili o accessibili, la reputazione aziendale inizia a deteriorarsi anche senza crisi visibili.
Le incongruenze tra ciò che si comunica e ciò che si può provare sono il terreno più fertile per la sfiducia.
La credibilità non nasce dai report, ma dalla coerenza tra numeri, decisioni e comportamenti.
Un’informazione verificabile vale più di una dichiarazione ben scritta, perché consente a chi osserva, un cliente, un partner, un investitore, di fidarsi del metodo, non del marketing.
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Come migliorare: trasformare i dati in una leva di governo
Il cambiamento parte da un punto preciso: trattare la misurazione ESG come parte della gestione, non come un esercizio di rendicontazione.
Il dato deve diventare una risorsa di governo, non un adempimento. E questo accade solo quando l’azienda lavora su tre dimensioni integrate: qualità, coerenza e ownership.
1. Qualità: dal dato raccolto al dato utile
Non servono più dati, ma dati realmente utili.
La prima azione è definire cosa è davvero decisionale, quali indicatori incidono su costi, ricavi o rischi, e concentrarsi su quelli, invece di accumulare misurazioni marginali.
Un dato di qualità è:
tracciabile,
replicabile,
aggiornato con una frequenza coerente con il ciclo di business,
leggibile e utilizzabile da chi deve decidere.
Non deve essere perfetto, ma sufficientemente solido da supportare una scelta.
2. Coerenza: costruire un linguaggio comune
Il passo successivo è creare un’unica grammatica interna del dato. Ogni funzione deve sapere con chiarezza:
cosa rappresenta un KPI,
quale fonte lo alimenta,
come viene calcolato,
chi lo valida.
Questo riduce le discrepanze e trasforma i dati ESG in un linguaggio condiviso tra i diversi silos aziendali.
La coerenza elimina difese e diffidenze: se il dato è unico e riconosciuto, la fiducia cresce automaticamente.
3. Ownership: sapere chi decide e perché
Ogni indicatore deve avere un responsabile identificabile, qualcuno che ne garantisca correttezza, tempestività e miglioramento nel tempo.
Questo non significa centralizzare, ma creare responsabilità distribuita: chi produce il dato capisce come viene usato, chi lo usa sa da dove arriva e perché conta.
Una volta che qualità, coerenza e ownership sono consolidate, la misurazione smette di essere difensiva e diventa evolutiva.
Il focus passa dal “rendicontare” al “migliorare”: il dato non serve più solo a dimostrare, ma a orientare e correggere.
Si crea così un ciclo virtuoso in cui i KPI non descrivono il passato, ma anticipano le azioni future.
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Dal controllo al miglioramento continuo
Migliorare la misurazione non significa costruire più tabelle, ma creare un modo condiviso di leggere la realtà aziendale.
Il punto non è quanti dati raccogli, ma quanto velocemente riesci a farli parlare, quanto questi sono rilevanti per il contesto in cui operi.
Le aziende che gestiscono bene la sostenibilità non sono quelle che hanno più KPI, ma quelle che hanno un sistema integrato, accessibile e condiviso: quando un numero cambia, tutti ne capiscono subito il perché e l’effetto sul business.
Il cambiamento inizia quando il dato smette di essere un archivio e diventa una conversazione tra funzioni.
Finanza, operations, HR e procurement leggono la stessa informazione, ma la traducono ognuna nel proprio linguaggio decisionale.
Questo è il salto culturale più difficile: non costruire un cruscotto perfetto, ma un ecosistema in cui le persone riconoscono nel dato un indicatore utile e funzionale.
Per capire se sei sulla strada giusta, non guardare la quantità di numeri, ma il loro comportamento:
I dati anticipano le decisioni o le inseguono?
Si cercano per capire o per giustificare?
Nascono dal basso o servono solo al vertice?
Quando un dato guida un’azione prima di essere richiesto, hai già cambiato passo.
È lì che la misurazione cambia: non più un obbligo, ma un modo agile di governare la complessità.
? FAQ – Disegnare processi che potenziano il business
1. Come dati ESG inaffidabili impattano l’azienda?
Dati ESG inaffidabili generano decisioni basate su informazioni fragili. Questo può portare a investimenti sbagliati, ritardi in progetti chiave, perdita di credibilità verso banche e investitori e, nel lungo periodo, a un indebolimento della posizione competitiva rispetto a chi misura meglio e in modo più trasparente.
2. Da dove iniziare per costruire un sistema strutturato di KPI ESG?
Il primo passo è selezionare pochi indicatori rilevanti per l'azienda(es. consumi energetici, emissioni, infortuni, turnover, fornitori critici). Poi:
definire perimetro e metodo di calcolo;
assegnare un responsabile per ogni indicatore;
integrare questi KPI negli obiettivi aziendali
3. Qual è il ruolo del board nella governance dei dati ESG?
Il board ha la responsabilità di chiedere dati ESG chiari e confrontabili nel tempo, collegare gli obiettivi ESG alla strategia e agli incentivi e verificare che la qualità dei dati sia sufficiente per prendere decisioni informate. Quando il board tratta i dati ESG come tratta quelli economico-finanziari, manda un segnale forte all’intera organizzazione.



